Uno spaccato su chi dà vita ai contenuti dell’Influencer Marketing, i creator. Ecco l’obiettivo del nuovo report realizzato dall’ONIM e che segue di qualche mese quello dedicato a brand & marketer.
Un ulteriore passo per approfondire la conoscenza dell’IM e il suo utilizzo, focalizzandosi questa volta sull’altra faccia della medaglia, quella degli influencer, spesso discussi, ma la cui conoscenza non ha quasi mai trovato momenti di approfondimento. Una mancanza a cui pone rimedio l’Osservatorio con il presente documento.
Un ruolo, quello degli influencer, che risulta quantomai giovane: il 38,3% risulta Under 20, cifra che tocca quota 60% se si considera il cluster Under 30. Giovane anche l’attività: il 58,5% dichiara di operare come creator da meno di un anno. Accanto a questi, con il secondo dato per rilevanza, le figure “storiche”, che operano cioè da 4 anni.
Tra i settori non stupisce il peso di quelli più noti, fashion (20,3%), lifestyle (19,2%) e travel (15,2%) su tutti. Staccati food & beverage (7,8%), beauty (8,8%) e tecnologia (5,8%), settori invece estremamente richiesti e rilevanti per i brand e i loro progetti di Influencer Marketing come dimostrato dal primo report ONIM.
Instagram si conferma il canale dell’Influencer Marketing. Oltre la metà degli intervistati (53,2%) dichiara infatti di essere fortemente attivo su tale piattaforma. Segue, anche se ben distanziato, Facebook (18,5%), social di “base” a cui difficilmente si rinuncia. Seppur numericamente esiguo, importante il 9,2% ottenuto dai blog, a dimostrazione di quanto uno strumento dato troppo spesso per finito, in casi particolari, risulta ancora estremamente funzionale. Lontani Twitter, sempre meno rilevante, LinkedIn, non di facile utilizzo, e Snapchat. Quest’ultimo sicuramente paga il successo di Instagram. Discorso particolare per YouTube che, pur essendo un canale certamente fondamentale nell’ecosistema Influencer Marketing, registra numeri ridotti (5,1%), causati nella maggior parte dei casi, dalla difficoltà del contenuto video non certo per tutti.
Instagram si attesta come piattaforma cardine anche lato video: il 56,7% lo utilizza per pubblicarli. Seguono Facebook (21,9%) e YouTube (21,4%), nonostante le molteplici funzionalità dedicate.
La creazione dei contenuti per i brand resta la forma di collaborazione preferita dagli influencer, seguita dalla partecipazione agli eventi (meno considerata, ma sempre d’appeal) e dai progetti di ambassadoring che permettono agli influencer maggiore stabilità economica e la possibilità di essere più coinvolti nel progetto. Interessante riflettere sull’alto gradimento ottenuto dal vivere un’esperienza originale, plus che spinge gli influencer ad accettare più facilmente una collaborazione e a vederli sicuramente più impegnati nella stessa.
Dati interessanti sulle collaborazioni mensili realizzate. Se il 72,7% degli intervistati realizza infatti da 1 a 3 progetti mensili, c’è un 20,7% che ne porta avanti tra i 3 e i 7. Certamente sorprendente, ma anche preoccupante, il 4,1% registrato da chi realizza da 7 a 10 progetti mensili e il 2,5% addirittura oltre i 10. Un eccesso che rischia di incrinare la reputation dell’influencer e far perdere credibilità a lui e ai progetti in essere con i brand.
A ribadire ancor di più come il mercato italiano degli influencer sia ancora lontano da un reale professionismo è la limitata adozione da parte di questi di agenzie e team che li supportino nel loro lavoro e nella gestione dei progetti con i brand. Solo l’8,3% dichiara infatti di aver compiuto questa scelta. Un dato ribadito anche da chi, tra i creator, riesce a mantenersi con la propria attività. Accanto alle figure più celebri e discusse esiste una maggioranza (83%) che non riesce a mantenersi con le attività da creator. Un monito importante per i tanti che vedono sempre di più l’influencer come mestiere del futuro: affermarsi realmente (non solo a livello di performance) in questo scenario è un obiettivo più complesso di quello che si possa pensare.
Solo un minimo 16,5% degli intervistati dichiara di richiedere “Sempre” una retribuzione, mentre c’è addirittura un 24% che risponde “Mai”. La maggioranza (il 43,8%) si attesta su un “A volte”, che ben dimostra i passi necessari che queste figure devono compiere verso il professionismo. Una retribuzione che, quando avviene, è per lo più sotto forma di contributo economico (38,1%) o di prodotti omaggio (26,1%) ed esperienze gratuite (19,3%).